ORGANO BERNASCONI

La superba opera di Pietro Bernasconi, organaro erede dei Biroldi

 

Le vicissitudini cui sono stati sottoposti gli organi della chiesa di Santa Maria della Pace si accompagnano, con dolorosa coerenza, a quelle che hanno interessato la parte architettonica e l’apparato decorativo.

La documentazione fotografica risalente a questo secolo non chiarisce la situazione effettiva; presenta infatti, nel breve volgere degli anni, due prospetti di facciata monumentali, di diversa ispirazione estetica, innalzati su una tribuna in area presbiteriale, sotto la volta affrescata da Tanzio da Varallo. Vi appaiono privi di cassa armonica e il prospetto del 1967 non sembra suonante, abbandonato a un uso puramente decorativo.

In effetti l’organo costruito nel 1891 da Pietro Bernasconi di Varese (pur con qualche dubbio sulla primitiva destinazione a questo edificio) era stato collocato dietro l’altare maggiore ma ribassato, in modo da nasconderlo alla vista. Basseria e mantici si trovavano in una fossa ricavata nel pavimento, con possibilità di rifrazione del suono estremamente ridotte.

Questo strumento, così umiliato ma restituito nel 1997, attraverso un impegnativo restauro, alla musica e alla cultura, è opera di uno dei più celebri esponenti della tradizione lombarda. Pietro Bernasconi è infatti organaro di scuola biroldiana, cresciuto cioè nei fermenti di genialità tramandati dalla bottega varesina dei Biroldi i cui membri, già a partire dal Settecento, avevano affermato una indiscussa supremazia ispirando i loro strumenti alla purezza, alla trasparenza dei modelli antegnatiani.

Proprio con gli Anteniati il fondatore, Giovanni Battista Biroldi, aveva avuto la possibilità di confrontarsi: era stato chiamato dalle benedettine di Sant’Antonino a Varese per restaurare l’organo rinascimentale costruito da Costanzo Antegnati e, successivamente, quello di Gian Giacomo Antegnati nel celebre santuario del Sacro Monte di Varese, strumento ormai scomparso, ma del quale ci parla ancora oggi la superba cassa rinascimentale.

La produzione artistica di Pietro Bernasconi non può dunque essere analizzata e compresa fuori dagli schemi Biroldi che egli tramanda per il suo legame storico diretto. Quattro erano infatti i fratelli Bernasconi: Giuseppe, Lorenzo, Pietro e Cesare, i primi due usciti dalla bottega Biroldi nel 1847 e poi tutti operanti in autonome ditte, tra loro in concorrenza anche rissosa, tese ad inseguire legittime ambizioni.

Del resto, anche senza travagli di bottega, gli allievi si sono sempre staccati dai maestri; questo non accade soltanto nell’organaria ma in ogni altra manifestazione d’arte, rappresentando anzi un elemento vivificante, l’apporto di nuove idee e di nuove aspirazioni.

 

Il tragitto di Pietro Bernasconi (1834-1895) si stempera in due momenti.
Il primo è quello delle opere in perfetta continuità con la tradizione varesina, assimilata attraverso l’esperienza del fratello Lorenzo e filtrata da un’autonoma capacità d’interpretare tecniche costruttive ed estetiche di suono.

Il secondo momento è fortemente condizionato da nuove situazioni storiche e da nuovi indirizzi ai quali l’organaro, ormai autonomo nelle sue iniziative e con la sempre più responsabile collaborazione del figlio Luigi, risponde con moderata attenzione intravedendo anche possibilità di realizzazione di nuovi ideali.

E’ il periodo che coincide con la nascita del movimento di riforma degli organi con il quale i costruttori dovranno confrontarsi per oltre mezzo secolo.

Di questo movimento Pietro Bernasconi assorbirà solo alcune valenze legate a una razionale evoluzione dell’organo italiano. La vicenda del monumentale strumento costruito per il duomo di Como su progetto di Marco Enrico Bossi nel 1888 e la sua indispettita reazione alle ingiuste critiche dei “riformatori” sono sufficienti a mettere in luce la sua indipendenza di giudizio.

Per questo grande organaro la ricerca di uno “stile moderno” può essere presa come materia di discussione, ma egli non si dimostra propenso ad accettare la mancanza di riferimenti al “gusto”, inteso come preferenza estetica e selezione critica.

Quel “gusto” e quello “stile” che saranno propri dell’individualismo romantico del quale Pietro Bernasconi appare l’espressione, in uno stretto e personale rapporto con la tradizione. Questi indubbi paralleli culturali con i grandi maestri sono avvertibili nella solare bellezza degli organi di Mombello, di Bellusco, di Salorino.

Pietro fu maestro per la qualità dei suoi organi, per l’accurata tecnica, per l’intonazione personalissima che sapeva dare alle singole voci, a quella delle ance in particolare.

Di problemi d’intonazione egli si occupò sempre e sono noti gli scambi di vedute e i confronti che ebbe con l’ultimo Carrera.

Cercò la limpidezza del Ripieno, le tonalità chiare. Sapeva che l’intonazione era la parte più difficile, subordinata al modo di costruire le canne. “Se si soffia in una piccola canna di Ripieno dei Serassi, Biroldi, o di chi ne ha intuito la costruzione – diceva – si rileva un’estrema facilità nell’emissione della voce che riesce non solo spontanea, ma piena e argentina: noi, queste prerogative le riassumiamo in una frase tipica meneghina e diciamo ‘la sona de per lee’, suona da sé”.

E ancora: “La bellezza ideale del Ripieno era nel sostenere l’impasto bianco, ciò che faceva pensare all’esperimento constatato nella scuola di fisica del disco recanti tutti i colori dell’iride, che diventa bianco se fatto girare a grande velocità”. Di lui si può anche dire che operò con onestà intellettuale in un epoca difficile, tra strutture che si volevano abbattere e la sua prudente condivisione di nuovi impulsi, in un orizzonte di nuove idee.

La cantabilità polifonica di certi organi Biroldi non è riscontrabile nell’organo della Pace perché il gusto era nel frattempo cambiato e proprio alla Pace si può, oggi, riscontrare l’onda lunga dell’evoluzione. Se certi organi Biroldi guardano al barocco anziché all’Ottocento, Pietro Bernasconi è uomo del suo tempo e sa approdare al romanticismo in un mirabile equilibrio sonoro.

Nell’arco di un anno sono stati restaurati quattro importanti strumenti Bernasconi, quello di Salorino nel Canton Ticino, di Casnate, di Mombello e il nostro, in Santa Maria della Pace.

Sui Bernasconi fabbricatori d’organi, su Pietro in particolare, è da tempo avviato uno studio intorno ai vari aspetti della loro tecnica costruttiva, ponendo attenzione alle numerose opere superstiti che superbamente si esprimono nella tradizione, in continuità con le forme canoniche apprese dai grandi maestri.

 

SCHEDA DELL’ORGANO

Collocato in cantoria, dietro all’altare maggiore, presenta un prospetto di facciata di 25 canne disposte a cuspide, bocche allineate, labbro superiore a mitria. Due tastiere di 58 note (Do1-La5) con prima ottava cromatica, divisione tra bassi e soprani Si2-Do3. Pedaliera diritta di 27 note (Do1-Re3). Consolle a finestra, registri a manetta disposti su due file a destra dell’organista.

DISPOSIZIONE FONICA

Grand’Organo

Colonna interna
Oboe 8’ Bassi
Oboe 8’ Soprani
Flutta Soprani
Flauto in VIII Bassi
Violone 8’ Bassi
Violino 8’ Soprani
Voce Umana
Trombone 8’ al pedale

Colonna esterna
Principale 8’ Bassi
Principale 8’ Soprani
Ottava Bassi
Ottava Soprani
Decimaquinta
Decimanona
Tre di Ripieno (XXII-XXIV-XXIX)
Subbasso 16’
Basso 8’

Organo Eco

Colonna interna
Flauto in VIII
Cornetto 3 file

Colonna esterna
Bordone 8’
Ottava 4’
XV 2’
XIX-XXII

Accessori

5 pedaletti sopra la pedaliera (da sinistra):
Unione I al pedale, Unione II al pedale, Unione II alla I, Ripieno, Ripieno II.
Pedalone per combinazione libera alla lombarda.

Restaurato nel 1997 dalla Bottega Artigiana Gianfranco Torri di Cesano Boscone.