DIMENSIONE ECCLESIOLOGICA DELLA SPIRITUALITA’

La grazia battesimale

L’acqua è anche un richiamo al battesimo e ci riporta al Signore risorto, alla Pasqua nel senso del passaggio dalla morte alla vita soprannaturale e alla grazia; essa ci conferisce, sacramentalmente, la dignità di figli di Dio. Non dobbiamo mai dimenticare che la dignità accordataci dalla Chiesa proviene dunque dal battesimo, che ne è appunto alla radice.
Davanti al sepolcro che accolse come un seno materno il corpo di Gesù, ormai pronto per essere generato una seconda volta, abbiamo bisogno di starcene lì con la medesima umiltà, il medesimo affetto e lo stesso desiderio interiore di Maria di Magdala e delle altre donne. Percepire nel nostro spirito che Gesù mi chiama per nome, che per lui io non sono un anonimo, che Dio è il Dio vivente, come lo percepì il profeta Elia sull’Oreb nel «sussurro di una brezza leggera» è un’esperienza unica che segna per tutta la vita. Nella vita spesso saremo tormentati dai nostri dubbi e ribellioni, perché – come dice San Paolo – ci troviamo di fronte ad una «sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta» cioè Cristo, la cui missione e parola non appartengono alla cosiddetta ragionevolezza umana; come pure saremo umiliati dai nostri peccati e dai mali che ci affliggono.
Sarebbe affascinante per noi pensare di voler appartenere al gruppo di Maria e delle altre donne confortate dal Risorto, dove la vera fedeltà a Dio si trova nella rettitudine del cuore, nella cui profondità saremo sempre scandagliati quali Dame e Cavalieri del Santo Sepolcro. Trovarsi in compagnia di Pietro, al quale per tre volte Gesù chiede se lo amasse e rispondere come lui, memore della sua fragilità – «Signore, tu conosci tutto, tu sai che ti voglio bene» – è dove vorremmo essere. E avere la certezza che su Pietro Gesù ha voluto costruire fermamente la sua Chiesa ac compagnata dallo Spirito Santo.

Gesù, la Parola di Dio

Nella vita cristiana non possiamo mai dimenticare che la Parola di Dio rimane in eterno e che questa Parola «è entrata nel tempo. Dio ha pronunciato la sua eterna Parola in modo umano; il suo Verbo “si fece carne” (Gv 1, 14). Questa è la buona notizia. Questo è l’annunzio che attraversa i secoli, arrivando fino a noi oggi». I Vangeli – che «trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza» – rivelano anzitutto il mistero della Persona di Lui insieme al suo insegnamento che, senza ombra di dubbio, è teologicamente e antropologicamente il più elevato che si conosca nella sapienza umana.
San Paolo, citando il Profeta Isaia – «distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti» – ribadisce che c’è un disegno di Dio sull’umanità; un disegno che il mondo con tutta la sua sapienza non ha conosciuto e afferma che «la parola della croce (…) è potenza di Dio», è ciò che ci ha salvati. Per questo noi ci accostiamo alla Parola di Dio, come scrivono i Padri del Concilio Vaticano II nella costituzione Dei Verbum, sempre con sensi di «religioso ascolto», trattandosi appunto della Persona di Gesù, il quale ci permette di conoscere, o meglio ci introduce alla conoscenza del Padre e ci dona lo Spirito Santo, sorgente di ogni bene; al medesimo tempo, ci permette di godere della vita unitaria e trinitaria di Dio.
Nell’Esortazione Apostolica Verbum Domini, a seguito del Sinodo dei Vescovi 2008, Benedetto XVI scrive che «la novità della rivelazione biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi»; è per questo che il Logos, la Parola di Dio, entrata nel mondo, ha assunto la natura umana affinché il dialogo avvenisse in forma comprensibile e diretta; ci sovvengono qui le espressioni della Lettera agli Ebrei, il cui Autore insegna che Dio ha parlato sempre in molti modi e forme diverse, compreso attraverso i Profeti, ma che «ultimamente, (…), ha parlato a noi per mezzo del Figlio». Gesù di Nazaret è la Parola che si è fatta udibile e ha assunto un volto attraverso Maria. Il mistero pasquale ne è poi il compimento salvifico che San Paolo identifica nella Croce. La Chiesa, dunque, nasce dalla Parola di Cristo, vive per l’annunzio della stessa Parola e la proclama proiettandosi nel mondo a servizio della Parola stessa.
Nell’Ordine del Santo Sepolcro l’ascolto della Parola di Dio, come dono trinitario di salvezza, rimane fondamentale nel contesto di una spiritualità biblicamente fondata, senza della quale si resterebbe aridi e formalisti.

Affidamento: preghiera ed Eucaristia

Nella nostra vita la preghiera non dovrebbe mai mancare. Nella famiglia di Nazaret Gesù apprese a pregare secondo lo stile ebraico nella sinagoga del suo villaggio. La preghiera apparteneva alla vita di Gesù e ciò suscitava anche nei discepoli il desiderio di imitarlo; pertanto, non solo la raccomandò, ma insegnò a pregare. Il “Padre nostro”, la preghiera per eccellenza, ne divenne il contenuto e la traccia; il Signore poi educò anche alle modalità del pregare: senza ipocrisia, nella riservatezza, senza sprecare parole. Il “vegliare” in preghiera, infine, appare nei Vangeli una evidente costante del Signore prima dei momenti più importanti: così la notte antecedente la sua passione, il Signore chiese ai suoi discepoli di vegliare e di pregare insieme a Lui.
Pregare appartiene, di per sé, anche allo stile e alla natura del nostro Ordine; pertanto, ogni Dama o Cavaliere è bene che impari a pregare e che lo faccia costantemente. Nella preghiera, infatti, si esprime la fede. Non la “nostra” fede, ma quella di Gesù alla quale siamo aggregati. Sempre nella preghiera dobbiamo altresì chiedergli di permettere a noi di unirci a Lui per rivolgerci insieme al Padre e ottenere il dono dello Spirito Santo, secondo lo splendido insegnamento di Sant’Agostino, il quale diceva che il Signore Gesù «prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio».
Ma vi è ancora un altro affidamento che deve essere caro ai Membri dell’Ordine: l’Eucaristia. È il dono più prezioso lasciato da Gesù ai suoi discepoli, ai quali ha chiesto di ripeterlo: «Fate questo in memoria di me»; in tal modo Egli, nel sacramento dell’Eucaristia, Mysterium fidei, si è collocato al centro, al cuore della Chiesa. Stiamo comprensibilmente parlando della “Preghiera ecclesiale” per eccellenza che sviluppa, più di ogni altra, il senso della comunione fraterna: l’Eucaristia, il mistero del Corpo e del Sangue del Signore Gesù in cui si perpetua sacramentalmente il sacrificio della Croce. Essa, l’Eucaristia, è stata affidata alla sua Chiesa quale memoriale di morte e risurrezione e ciò avvenne nel momento più emozionale della relazione tra Gesù e i discepoli, quando stava per prendere congedo da essi; lì qualcosa di nuovo accadde e avverrà per sempre, in ogni luogo e tempo in cui sarà ripetuto lo stesso gesto dello «spezzare il pane»: un’Alleanza nuova venne estesa a tutta l’umanità. L’Eucaristia, pertanto, nella Chiesa è «fonte e culmine di tutta la vita cristiana». Mai una Dama e un Cavaliere dovrebbero tralasciare di parteciparvi. Infatti, non esiste un atto di culto più perfetto ed elevato di questo ed è sempre un atto di benedizione e di ringraziamento.
Piace poi pensare che nell’adorazione dell’Eucaristia si prolunghi, per così dire, il gesto di Maria di Betania che, in umiltà e affetto grande, unse i piedi del Signore. Un gesto apprezzato dal Signore medesimo in vista della sua morte, come era stato apprezzato un analogo gesto, quello della donna perdonata in casa di Simone il fariseo; in quanto gesti di amore, essi non possono più dissolversi, anzi continuano a perpetuarsi nell’adorazione eucaristica, insieme alla carità verso i poveri, l’infanzia, i rifugiati, i carcerati, gli emarginati, i sofferenti: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Eucaristia e carità sono divenuti inscindibili.

Il mistero della carità

«La principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera (è la carità) di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, (…) è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace». (Benedetto XVI)

Si tratta qui di comprendere che la radice della carità è Cristo: la sua vita, il suo insegnamento, i segni che lo accompagnavano, la sua passione, morte e risurrezione; infatti, secondo l’apostolo Pietro, Gesù «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo». Le parabole circa l’umanità, la misericordia, l’amore agli ultimi di Gesù, in verità, non formalizzano una teoria, ma esplicitano in modo magistrale il senso della carità stessa, in quanto amore ricevuto e donato. In questo dare e ricevere, insegnava anche Paolo VI, si attua il vero sviluppo dell’uomo perché la solidarietà «è (…) per noi un beneficio» e, al tempo stesso, «è un dovere», ciò, soprattutto, contro la pretesa egoista di non dover niente a nessuno, tranne che a sé stessi e di avere solo diritti. La carità si comprende meglio allorché noi stessi facciamo l’esperienza del bisogno: anzitutto spirituale, quando ci viene meno il senso di Dio e ci sembra di sperimentare il non–senso della vita, ma anche morale, così evidente nell’umiliazione a causa dei nostri peccati; oppure psicologico, allorché la depressione ci rende prigionieri, incapaci di reagire e la mente ottenebrata fa venire meno le forze; non di meno, in situazioni di povertà economica, quando si è ridotti alla miseria.
Gesù, dunque, mai fa l’apologia della carità; egli la mostra concretamente in riferimento alle persone in stato di necessità: i poveri, gli ammalati, la donna accusata di adulterio, gli stessi indemoniati; e anche al dottore della Legge che gli chiedeva: «Chi è il mio prossimo?», Gesù non dà spiegazioni, ma racconta la parabola del buon samaritano, quella dell’uomo che scendendo da Gerusalemme a Gerico incappò nei briganti, i quali lo derubarono e lo malmenarono fino a lasciarlo abbandonato mezzo morto; solo un samaritano si prese cura di lui. La conclusione divenne evidente: «Va e anche tu fa’ così».
Insieme alla testimonianza della fede, anche la carità prolunga la presenza di Cristo nel mondo se l’amore per il prossimo è radicato nell’amore di Dio; è un compito che riguarda ogni singolo fedele, ma, al tempo stesso, appartiene all’intera comunità ecclesiale: da quella locale alla Chiesa universale nella sua globalità. In quanto Membri dell’Ordine del Santo Sepolcro ne siamo coinvolti a doppia ragione: sia perché figli della Chiesa, sia perché legati a una nobile Istituzione pastorale–caritativa che manifesta specifica attenzione ai bisogni della Terra Santa. In questo modo portiamo avanti, quale nostro vincolo, un servizio ordinato al bene comune nella Terra di Gesù: alle famiglie cristiane ivi residenti; alla convivenza con le diverse comunità religiose oltre a quella cattolica; all’educazione dei ragazzi e dei giovani senza distinzione di credo; e, infine, ai pellegrini che intendono percorrere i luoghi e rivivere le parole e i momenti più importanti della vita di Gesù.
L’impegno dell’Ordine per la Chiesa Patriarcale di Gerusalemme ha ormai una rilevante importanza ed è in linea con quanto ricordano sia gli Atti degli Apostoli sia l’apostolo Paolo.
Noi pertanto percepiamo, in questo comune impegno, di avere uno dei “nostri tratti” caratteristici, che permette a ogni Membro dell’Ordine di esercitare la propria spiritualità attraverso «una spiccata generosità» tratta dalle «proprie risorse materiali»; vale ricordare qui le splendide parole di San Leone Magno, papa: «Sia più larga la generosità verso i poveri e i sofferenti perché siano rese grazie a Dio, Ed essa avvenga con gioia». La gioia del bene!
Aderire all’Ordine, pertanto, non significa associarsi a «un ente filantropico impegnato a promuovere il miglioramento materiale e sociale dei destinatari», ma avere il convincimento del valore spirituale della propria adesione e, al tempo stesso, dell’altissima valenza della carità. Questa duplice percezione non dovrebbe mai venir meno. L’essere “Cavaliere” o “Dama” dell’Ordine del Santo Sepolcro, infatti, implica sviluppare il menzionato duplice profilo radicato nella fede in Cristo morto e risorto, senza far dipendere l’adesione o meno da fatti occasionali, da aspetti personalistici o da crisi presenti in ogni organizzazione.

Una realtà ecclesiale

L’appartenenza all’Ordine del Santo Sepolcro non avviene fuori dalla Chiesa, ma in essa. La solenne liturgia di Investitura ne è come l’apice. L’evento non è di semplice attribuzione onorifica. L’Ordine – come noto – ha una missione affidata a esso dai Sommi Pontefici: sostenere la Chiesa Madre di Gerusalemme e con essa assumere quelle iniziative che aiutino la buona convivenza sociale, educativa e relazionale senza preclusioni di genere e in una visione inclusiva che favorisca il dialogo tra le Chiese cristiane, con gli Ebrei e i Musulmani. Poiché all’Ordine si accede non per eredità dinastica, privilegio o per censo, ma per “attrazione” e “adesione” ai suoi principi spirituali, morali e istituzionali, viene richiesto a ogni Membro un tempo di preparazione adeguata, che si conclude con il conferimento delle insegne e dei simboli speciali nella Veglia d’Armi e di Preghiera e nel Rito di Investitura.
Il sentire cum Ecclesia – che significa avere il senso della comunione ecclesiale, pensare, parlare e agire in modo da far crescere in profondità e in estensione la Chiesa stessa nella fedeltà a Cristo risorto – sarà sempre il principio di orientamento per una Dama e un Cavaliere dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme. La parola di Gesù in merito è chiara: «Chi non raccoglie con me disperde»; le tentazioni della divisione, dell’invidia, della gelosia, del primeggiare sono mali accovacciati alle porte della nostra esistenza; da esse il Signore ci ha messi in guardia. Ma le opere di carità, e innanzitutto la santità dei Membri, la loro testimonianza di missionarietà e di unità, ci permettono di superare le difficoltà e di vivere nell’adesione allo Spirito di Gesù risorto. In questo si esercita la fede: e la fede ci dona Dio, ma anche a Dio.
In ambito ecclesiologico–spirituale, il Gran Maestro e i Membri ecclesiastici aiutano l’Ordine a essere in sintonia con la Chiesa universale, con quelle locali di appartenenza e con la Chiesa di Gerusalemme. Relazioni essenziali per ricordare sempre “chi siamo”, il nostro “posto” e la nostra “missione” nel contesto del quadro di adesione al magistero pontificio. Appartenere all’Ordine porta a tenere costantemente fisso lo sguardo sulla Chiesa e sul suo Signore trafitto e glorificato dal Padre; San Leone Magno scriveva che «colui che vuole onorare veramente la Passione del Signore deve guardare con gli occhi del cuore Gesù Crocifisso, in modo da riconoscere nella sua santità la propria carne»; e San Basilio, vescovo, commentava: «Le sofferenze, la croce, la sepoltura, la risurrezione sono per la salvezza dell’uomo perché abbia di nuovo, mediante l’imitazione di Cristo, l’adozione a figlio di cui era dotato all’inizio». Per autenticità della vita cristiana e fedeltà alla spiritualità, quali Membri dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, è necessario, sempre e costantemente, conformarci al Mistero di Gesù e della Chiesa, memori dell’insegnamento del Signore: «Se qualcuno vuole venire dietro a me (…) prenda la sua croce e mi segua».
Se la “comunione” ad intra nella Chiesa è uno dei principi costitutivi per una spiritualità autentica quale “Popolo di Dio” e “Corpo di Cristo” non da meno è quello ad extra che tende a superare le divisioni con le realtà diverse dalla Chiesa cattolica presenti in Terra Santa e altrove: «È un bel segno che le vostre iniziative nel campo della formazione e dell’assistenza sanitaria siano aperte a tutti, indipendentemente dalle comunità di appartenenza e dalla religione professata. In questo modo voi contribuite a spianare la strada alla conoscenza dei valori cristiani, alla promozione del dialogo interreligioso, al mutuo rispetto e alla reciproca comprensione. In altre parole, con il vostro meritorio impegno, anche voi date il vostro apporto alla costruzione di quella via che porterà (…) al raggiungimento della pace in tutta la regione». (Francesco)

Il magistero della Chiesa e l’Ordine

Nel contesto della dimensione ecclesiologica, conviene ora richiamare brevemente il Magistero più recente della Chiesa nei confronti dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme: è un aspetto importante perché in esso appare, in tutta la sua chiarezza, il pensiero dei Sommi Pontefici.
Giovanni XXIII, approvando l’aggiornamento dello Statuto dell’Ordine (1962), scriveva: «E’ infatti naturale che come qualsiasi altra istituzione che sia ben organizzata e abbia una sua vitalità, anche questa famiglia di Cavalieri debba avere ben chiaro che, quanti sono alla sua direzione, sotto la guida del Cardinale Gran Maestro, devono cercare, con tutte le forze, di conseguire le nobilissime e alte fedeltà assegnate all’Ordine: vale a dire che i Membri alimentino sempre più i loro animi dello spirito cristiano, difendano e propaghino la fede nella patria del Divino Redentore, e infiammino gli uomini ad amare il Salvatore».
A sua volta Paolo VI (1964) ebbe a dire: «Un’istituzione come la vostra attira a sé lo sguardo e la stima del pubblico per i due aspetti che essa palesemente gli presenta: quello esteriore, delle vostre divise, delle vostre insegne, delle vostre riunioni; e quello interiore, della vostra adesione alla fede e alla vita cattolica, anzi alla milizia e al servizio della Chiesa e della causa di Gesù Cristo in quei Luoghi Santi specialmente, che furono l’umile e incomparabile scena del Vangelo e sono tuttora il quadro difatti e di interessi religiosi, a cui la Santa Sede, e con essa tutto il mondo cattolico, annettono sempre somma importanza. Un’unica regola perciò, si può dire, governa la vostra medesima istituzione: la corrispondenza, la coerenza, il mutuo riflesso dell’uno aspetto con l’altro. A che cosa servirebbero i segni esteriori del vostro Ordine se non fossero indicativi d’una sincera e vissuta professione di fede cattolica, sia nell’interno dei cuori, sia nello stile morale che tutta deve improntare la vita d’un Cavaliere del Santo Sepolcro? E non sono appunto tali distintivi, che vi dichiarano iscritti ad un’eletta e qualificata milizia di Cristo, simboli, stimoli, vincoli della vostra fedeltà alla sua causa, della vostra esemplarità nella società in cui vi trovate, della vostra non inerte, non passiva, non stanca, ma attiva, ma generosa, ma militante adesione alla santa Chiesa? Così vuol essere, così dev’essere la vostra appartenenza all’Ordine del Santo Sepolcro. Che i vostri spiriti siano pervasi da tale corroborante coscienza, e voi avrete veramente realizzato in voi stessi l’onore di appartenervi e avrete dato all’Ordine stesso la migliore conferma della sua ragione di vivere, la sua vigorosa pienezza di disciplina e di attività, il suo più alto livello di merito e di gloria (…) continuate ad amare quei Luoghi Santi, d’una predilezione sempre più intensa e più pia; continuate a cercarvi e ad onorarvi la terra santificata dai passi del Figlio di Dio fattosi Figlio dell’uomo; continuate a promuovere colà le opere di religione, di istruzione, di carità, che vi attestano la tenace ed amorosa presenza della Chiesa cattolica; accrescete, potendo, il vostro sforzo di beneficenza spirituale e corporale per quelle popolazioni».
Dopo queste memorabili parole, conviene ora prendere quelle dei pontefici più vicini a noi e che ricordiamo con deferenza e affetto. Nel 2000, in occasione dell’Armo Santo, Giovanni Paolo II si espresse nei seguenti termini ai partecipanti al Giubileo dell’Ordine: «Un vincolo antico e glorioso lega il vostro Sodalizio cavalleresco al luogo del Sepolcro di Cristo, dove viene celebrata in maniera tutta particolare la gloria della risurrezione. È proprio questo il fulcro centrale della vostra spiritualità (…). Anche per voi, come del resto per ogni cristiano, decisiva è la riscoperta del Battesimo, fondamento di tutta l’esistenza cristiana. E questo esige un accurato approfondimento catechetico e biblico, una seria revisione di vita ed un generoso slancio apostolico. Sarete così aperti al mondo di oggi senza venir meno allo spirito dell’Ordine, il cui auspicato rinnovamento dipende soprattutto dalla personale conversione di ciascuno, Come recitano le vostre insegne: “Oportet gloriari in Cruce Domini Nostri Iesu Christi”: è necessario gloriarsi della Croce del Nostro Signore Gesù Cristo, Sia Cristo il centro della vostra esistenza, di ogni vostro progetto e programma, sia personale che associativo».
Concetti ribaditi successivamente da papa Benedetto XVI nel 2008, allorché rivolse ai membri della Consulta dell’Ordine queste accorate parole: «Quanto ha bisogno di giustizia e di pace la Terra di Gesù! Continuate a lavorare per questo, e non stancatevi di domandare, con la Preghiera del Cavaliere e della Dama del Santo Sepolcro, che quanto prima queste aspirazioni trovino pieno compimento. Domandate al Signore che Vi “renda convinti e sinceri ambasciatori di pace e di amore fra i fratelli”; chiedetegli di fecondare con la potenza del suo amore la vostra costante opera a sostegno dell’ardente desiderio di pace di quelle comunità, appesantite negli ultimi anni da un clima incerto e pericoloso (…). La Vergine di Nazaret (…) Vi assista nella vostra missione di vegliare con amore sui Luoghi che videro il divin Redentore passare “beneficando e risanando tutti coloro che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10,38)».
Infine, papa Francesco, esortando i partecipanti al Pellegrinaggio dell’Ordine (2013), ha ricordato di «camminare per costruire la comunità, soprattutto con l’amore». Ed ha aggiunto: «L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme ha una storia quasi millenaria: il vostro è uno dei più antichi Ordini assistenziali, caritativi tuttora attivi. Istituito per la custodia del Santo Sepolcro, ha goduto di una speciale attenzione da parte dei Vescovi di Roma. Costruire con la carità, con la compassione, con l’amore (…). Ma il vostro camminare per costruire nasce dal confessare in modo sempre più profondo la fede, cresce dal continuo impegno di alimentare la vostra vita spirituale, da una formazione permanente per una vita cristiana sempre più autentica e coerente. Questo è un punto importante per ciascuno di voi e per l’intero Ordine, perché ognuno sia aiutato ad approfondire la sua adesione a Cristo: la professione di fede e la testimonianza della carità sono strettamente connesse e sono i punti qualificanti e di forza – punti di forza – della vostra azione. Un vincolo antico vi lega al Santo Sepolcro, memoria perenne di Cristo crocifisso che vi è stato deposto e di Cristo risorto che ha vinto la morte (…). Credere nella potenza redentrice della Croce e della Risurrezione, per offrire speranza e pace. In modo particolare, la Terra di Gesù ne ha tanto bisogno! La fede non allontana dalle responsabilità che tutti siamo chiamati ad assumerci, ma al contrario provoca e spinge a un concreto impegno in vista di una società migliore».
I legami speciali con la Terra Santa, e in particolare con la Città di Davide e il Santo Sepolcro, richiamati nel magistero pontificio, ci rammentano, ancora una volta, quanto essi richiedano il nostro affetto e la nostra generosa risposta, trattandosi di Luoghi dove il Signore trascorse la vita terrena, fu ascoltata la sua Parola ed egli offrì la propria vita, stabilendo nella sua persona un’Alleanza nuova tra Dio e l’uomo; un’Alleanza che trascende quella antica e che ha aperto definitivamente l’“elezione”, una volta riservata a Israele, all’inclusione dei “pagani”, secondo il chiaro insegnamento dell’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani. L’offerta di sé che Gesù fece al Padre, infatti, era divenuta indispensabile fin dal momento in cui l’umanità conobbe l’allontanamento dal suo Creatore e, con Caino, si era avuto il primo versamento di sangue fratricida; uno spargimento che, da allora in poi, non ha smesso di impregnare la terra. Risulta per questo preziosa l’esortazione che San Giovanni Paolo II rivolse alla Consulta dell’Ordine nel 2003: «Siate costruttori di amore e di pace, ispirandovi nella vita e nelle opere al Vangelo e specialmente al Mistero della passione e della resurrezione di Cristo, Vostro modello sia Maria, la Madre dei credenti, sempre pronta ad aderire con gioia alla volontà di Dio. Invocatela ogni giorno con la bella e tradizionale preghiera del Rosario, che aiuta a contemplare Cristo con lo sguardo della sua Madre. Questo sarà per voi fonte di crescita, come avvenne per il beato Bartolo Longo, vostro illustre confratello».

Il suo nome era Maria

Maria era un nome molto comune in Palestina. Tra le amiche di gioventù era nota come “Maria di Nazaret”, la “parente di Elisabetta” della tribù di Levi, colei che era legata a Giuseppe da una relazione affettiva in quanto a lui «promessa sposa».
L’evento ai piedi della Croce e quello relativo alla presenza di Maria tra gli apostoli nel giorno della Pentecoste, appartengono ai momenti più significativi e cari della tradizione mariana cattolica. Maria, in effetti, entrata in una nuova famiglia che si era costituita con la morte e la risurrezione di Gesù, apparterrà da allora in poi alla Comunità dei credenti. In questa veste Ella – oltre al ruolo cristologico, connesso alla propria divina maternità, di prima educatrice del Figlio insieme a Giuseppe, e alla discreta ma efficace presenza durante la vita pubblica – assume anche un’elevata funzione ecclesiale connessa alla propria femminilità, la quale bilancia in qualche modo il lato maschile costituito dagli apostoli. Piace qui citare una significativa e illuminante espressione di Benedetto XVI, il quale scrive che «la Chiesa, nella sua struttura giuridica, è fondata su Pietro e gli Undici, ma nella forma concreta della vita ecclesiale sono sempre di nuovo le donne ad aprire le porte al Signore, ad accompagnarlo fin sotto la croce e a poterlo così incontrare anche quale risorto». In verità, l’accoglienza della grazia nel mondo era avvenuta per Maria.
Conviene allora fermarsi ancora, seppur brevemente, sul magnifico, alto e ultimo gesto umano di Gesù morente di affidamento della madre – colei che lo aveva generato, accudito e accompagnato ovunque con profondo affetto – a Giovanni: nella tradizione semitica, fino ai nostri giorni, non è bene che una donna viva da sola, anche a motivo del suo sostentamento; di conseguenza, è ovvio che essa sia presa in custodia dal figlio o da un parente prossimo e di fiducia. Nel caso concreto, Gesù affida sua madre a Giovanni; si noti che questa fu l’ultima preoccupazione umana del Signore, il quale può ora rimettere tutto nelle mani del Padre e morire avendo compiuto tutto, proprio tutto, anche l’affidamento di Maria a una persona fidata perché non rimanesse sola e qualcuno se ne occupasse come nuovo figlio. Fu quel gesto che definì la nuova maternità di Maria in senso ecclesiologico. Accanto alla Croce, i Vangeli ne annotarono la presenza, ma essi non ci parlano del suo immenso dolore; possiamo però immaginarne la dignità nella fede e l’incommensurabile sofferenza del cuore. Nemmeno si menziona alcunché circa la pena, quale Madre dolente, vissuta durante i tre giorni della sepoltura del Figlio, né dell’immensa gioia nel vederlo risorto.
La fede di Maria in ogni momento rimase a lievitare, per riapparire nel contesto della Comunità apostolica in preghiera, in attesa dello Spirito Santo. Paolo VI intravide in tutto ciò, e con chiarezza, il ruolo materno di Maria proclamandola “Madre della Chiesa” al termine della terza sessione del Concilio Vaticano II. Per l’Ordine del Santo Sepolcro Maria, con il titolo di «Nostra Signora Regina della Palestina», è liturgicamente venerata quale Patrona il 25 ottobre; attribuzione stabilita in perpetuo da papa Giovanni Paolo II il 21 gennaio 1994 con la Lettera Apostolica Est quidem.
L’Ordine, dunque, per profonde motivazioni, ha particolarmente a cuore l’amore per la Madre di Gesù, alla quale si rivolge quale faro di pacifica convivenza tra i cristiani e le popolazioni che abitano la Terra Santa, terra benedetta proprio dalla stessa presenza storica di Maria e dove Ella non ha ancora del tutto esaurito la speciale missione affidatale dalla Provvidenza.