DIMENSIONE BIBLICA DELLA SPIRITUALITA’

A Betania: un gesto per sempre

«Maria prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: “Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?” Gesù allora disse: “Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura”». (Gv )

Gesù sta guardando in prospettiva. Maria di Betania non avrà più la possibilità di manifestare il proprio affetto al Maestro, e il Maestro accetta quel gesto per il giorno della sua sepoltura. In effetti, la risurrezione anticiperà ogni altro gesto delle donne che sarebbero andate dopo la pasqua ebraica a completare l’unzione del corpo del Signore.
L’adesione all’Ordine ci permette di continuare la stessa opera di Maria di Betania, ossia di ungere anche noi il “Corpo di Cristo”, che è la Chiesa, nella quale Gesù ora vive. La Chiesa nella sua realtà universale e locale, ma, in particolare, come Membri dell’Ordine, alla Chiesa Madre di tutte le Chiese, quella di Gerusalemme con i suoi fedeli, i pellegrini, i rifugiati, i poveri che Gesù ha lasciato a noi al fine di contribuire in qualche modo al bene e alla pace religiosa e sociale, così necessarie in Terra Santa. Ogni Dama e ogni Cavaliere, dunque, continua la stessa opera di Maria di Betania, intendendo avere a cuore la persona di Gesù vivente nella Chiesa. Conoscere questo «Corpo del Signore» e curarlo nelle sue membra è l’alto privilegio assunto dai membri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. È fondamentale per una Dama e un Cavaliere comprendere che la Chiesa, nel mondo, come voluta e intesa da Cristo e a noi lasciata dagli apostoli, è autentico «sacramento, o un segno, o ancora uno strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano».

La Croce e la morte di Gesù

«Sotto la croce prende inizio la Chiesa dei pagani… A partire dalla croce, il Signore raduna gli uomini per la nuova comunità della Chiesa universale. In virtù del Figlio sofferente essi riconoscono il vero Dio». (Benedetto XVI)

Il simbolo della Croce, dunque, non potrà mai apparire o essere una decorazione di eleganza o semplicemente di distinzione. La Croce è il dramma di una morte ignominiosa e ingiusta davanti agli uomini, ma da Cristo accettata volontariamente: «Mediante quella volontà noi siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre» commenta l’Autore della Lettera agli Ebrei, secondo il quale è Gesù stesso che svela il significato dell’offerta di sé appellandosi a un dialogo intercorso tra Lui e il Padre prima di entrare in questo mondo: «Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo (…) per fare, o Dio, la tua volontà”».
È pertanto dal contenuto di quel dialogo che comprendiamo il vero senso del mistero della morte di Cristo e ciò ci aiuta a mutare completamente la nostra idea sacrificale-moralistica e a intendere la morte di Gesù come atto di riconciliazione e di salvezza.

I personaggi

L’umanità che ritroviamo attorno al dramma di Gesù (passione, morte) ha i volti di una moltitudine straordinariamente capace di darci lo spaccato di una società affaccendata contro Cristo, intrigante e perversa… Ma c’è anche un’umanità pia che segue i passi del Signore: anonime Figlie di Gerusalemme, un contadino, Simone di Cirene, obbligato a portare la Croce di lui, una madre, Maria, profondamente provata e affranta per la sofferenza e la morte del Figlio, il discepolo, quello che Gesù amava donne coraggiose: Maria madre di Clèopa, Maria di Magdala, Maria, madre di Giacomo il minore e di Giuseppe, e Salome. Forse, nei pressi della Croce, si trovavano anche altri seguaci di Gesù impauriti e frastornati, e due uomini facoltosi che si preoccupavano di riavere e seppellire il corpo del Signore: Giuseppe di Arimatea, membro del Sinedrio, uomo buono e giusto, e Nicodemo, notabile capo dei giudei, anch’egli ammiratore del Maestro, che aveva cercato di difendere dai farisei.
Tutti sono parte della stessa umanità che è chiamata a testimoniare con Cristo o contro Cristo, ritenendolo un malfattore, un impostore, un bestemmiatore, oppure un giusto, colui che, nell’atto supremo della propria vita, riconcilia l’umanità a Dio.
Benedetto XVI ha commentato che «la morte di Gesù viene (però) sottratta alla linea del genere di morte derivante dal peccato originale dell’uomo come conseguenza della presunzione di voler essere come Dio» spiegando che essa «è di altro genere (. . .) proviene (cioè) dall’umiltà di Dio. (…) è una morte nel contesto del servizio di espiazione — una morte che realizza la riconciliazione e diventa luce per i popoli».
Gesù, dunque, nel momento supremo della sua esistenza, veniva messo a nudo nelle opere da lui compiute, nella verità che aveva proclamato e nella sofferenza che pativa.
Nella sua nudità, in quel corpo martoriato, veniva evidenziata la piena partecipazione di Cristo alla nudità umana: tutti noi siamo nudi peccatori, davanti a Dio! Egli è uno di noi! Eppure è il totalmente altro! Tutti noi da allora abbiamo bisogno di essere rivestiti dalla grazia, da una nuova natura, mentre il dramma dell’ingiustizia non è finito.

Il sepolcro vuoto

Insieme alla Croce, altro potente simbolo, sacrario di attrazione e devozione in Gerusalemme, è il luogo della sepoltura di Gesù. Il sepolcro rappresenta quel sito in cui il Corpo del Signore trovò dimora, dove la potenza di Dio, da luogo di putrefazione, lo avrebbe reso sorgente di vita e di grazia.
Benedetto XVI scrive che nel dramma vissuto da Gesù, egli «ha accettato il percorso della morte sino alla fine, amara ed apparentemente senza speranza, sino al sepolcro».
Completata la chiusura del sepolcro, l’ingresso fu ostruito con una pietra rotolata ed evidentemente già prevista per l’occlusione di esso. Poi il passaggio fu sigillato mentre «lì sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Magdala e l’altra Maria» che, evidentemente, oltre a osservare gli affaccendati alla chiusura, non riuscivano a staccarsi dall’amato Maestro. E proprio in virtù di quanto osservato che poi, tre giorni dopo, andando al luogo della sepoltura, si domandavano chi le avrebbe aiutate «a rotolare via la pietra del sepolcro». Nel sepolcro, nel silenzio, c’era il silenzio di tante domande e delle numerose attese di chi avrebbe voluto chiedere spiegazione dei tanti “perché”. Lì Dio ci aspetta e noi impariamo la fede. C’era il silenzio del «figlio dell’uomo» il quale, avendo assunto la natura umana e la sua caducità, ne aveva ereditato la morte. Non il silenzio di Dio.

La risurrezione

«Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, le donne si recarono alla tomba, Portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti. Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato». (Lc 24, 1-6)

Una Dama e un Cavaliere del Santo Sepolcro che cosa cercano nell’Ordine del Santo Sepolcro? Penso che almeno una volta ci si ponga questo interrogativo. Conviene allora ubicarsi mentalmente davanti al sepolcro vuoto e fare la medesima esperienza emozionante di Maria di Magdala, magari in occasione del pellegrinaggio che almeno una volta nella vita siamo invitati a compiere in Terra Santa: Perché sono qui? Che cosa sono venuto a fare? Chi cerco?
La risurrezione di Cristo nella fede cristiana rappresenta l’evento ontologicamente più straordinario; esso appartiene al DNA della fede; è il capovolgimento paradigmatico del gravoso destino umano, con il suo coronamento salvifico; è l’incipit della predicazione ed è alla radice dell’istituzione stessa della Chiesa, perché, se Cristo non fosse risorto, al dire di San Paolo, la nostra fede sarebbe vana. Benedetto XVI ha commentato che «la risurrezione è il punto decisivo» di tutta la questione della fede; aggiungendo: «se Gesù sia solo “esistito” nel passato o invece “esista anche nel presente – ciò dipende dalla risurrezione»; se Cristo non fosse risorto, «se nella risurrezione di Gesù si fosse trattato soltanto del miracolo di un cadavere rianimato, essa ultimamente non ci interesserebbe affatto. Non sarebbe infatti più importante della rianimazione, grazie alla abilità dei medici, di persone clinicamente morte. Per il mondo come tale e per la nostra esistenza non sarebbe cambiato nulla. Il miracolo di un cadavere rianimato significherebbe che la risurrezione di Gesù era la stessa cosa che la risurrezione del giovane di Nain (…) della figlia di Giairo (…) o di Lazzaro». Per papa Ratzinger la Risurrezione del Figlio dell’uomo è «qualcosa di totalmente diverso» da altre forme di vita o di rivitalizzazione; si è trattato di «un genere di vita totalmente nuovo, verso una pita non più soggetta alla legge del morire e del divenire (…) una vita che ha inaugurato una nuova dimensione dell’essere uomini (…) un salto di qualità (…) un avvenimento universale, come inaugurazione di una nuova dimensione dell’esistenza umana». Gesù stesso, pertanto, «lega la fede nella risurrezione alla sua stessa persona: “Io sono la risurrezione e la vita” (Gv 11 ,25)».
Il sepolcro vuoto, di conseguenza e a ben riflettere, non è né rappresenta per il cristiano un semplice luogo di sepoltura, come tanti altri…
Oltre il sepolcro c’è l’inizio di una nuova avventura; di una vita altra, totalmente altra, e che apre al senso della fede: si può credere, ma si può non credere, ciò è nel dilemma umano. Eppure, la fede non cresce senza l’intervento e l’aiuto della grazia, che va chiesta.
La fede cristiana, la prima delle virtù teologali, nasce dal mistero della risurrezione del Signore, a essa è legata e presuppone umiltà dell’intelligenza; la vita che accoglie il Risorto porterà allora ogni credente a «essere testimone di Cristo (e) “essere testimone della sua risurrezione” (At 1, 22)».

Pace a voi! Un messaggio per tutti

Gesù saluta i discepoli, impauriti, chiusi in casa per timore dei Giudei; essi si erano sbandati per gli eventi e per il proprio comportamento. Dubitano se l’amicizia di Gesù, dichiarata in altra occasione, sia ancora intatta o meno. Al saluto, «Pace a voi!» essi «gioirono»! Infatti, la sua voce era rassicurante, le mani col segno dei chiodi e il fianco trafitto erano i suoi: Gesù era vivo! E questa era la cosa più importante; era veramente lui, non un fantasma! Anche Tommaso volle avere la medesima incredibile esperienza; a noi, privi della stessa possibilità, Gesù lasciò in eredità una beatitudine di cui essi, i discepoli, non poterono godere: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Ma ora Gesù ha bisogno di recuperare i suoi amici per affidare loro di continuare la sua missione.
Nel momento in cui Gesù augurava la pace, noi non possiamo dimenticare che quel saluto non riguardava solo essi, giacché il termine “pace” è parte del nome di Gerusalemme (Città della Pace).
Quali Membri dell’Ordine del Santo Sepolcro, noi non siamo insensibili ai sentimenti del Signore e sappiamo di avere un amore speciale per questa Città, nel sogno non secondario di favorire l’inclusività dei diritti di tutti coloro che vi abitano e dei pellegrini; il rispetto dei diritti, infatti, rappresenta il lastricato per il cammino della pace in Terra Santa. Siamo impegnati, per così dire, anche noi a ‘‘detergere” una lacrima per la Terra e la «città del gran Re». Noi non saremo i grandi architetti della pace e della convivenza civile, piuttosto, ricorrendo a una nota immagine evangelica, preferiamo essere piccoli operai nella vigna del Signore. Non presuntuosi, non saccenti, bensì lieti artigiani, credendo che in questo modo possiamo apportare un contributo reale ed efficace, anche se non sempre visibile o riconosciuto dai più. Se tocca a tutti contribuire alla pace, per noi l’impegno è primario e ne facciamo una ragione seria della nostra appartenenza all’Ordine. E un grande onore!

Emmaus: dalla parte dei discepoli

«Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo».

Il brano del Vangelo di Luca rappresenta il prototipo di ogni esperienza di fede di fronte a Cristo: la sua umanità, le attese circa le sue parole e promesse, il senso della sua morte violenta, la risurrezione e, infine, la sua divinità. E un passo paradigmatico di ogni spiritualità. Non di meno, vale per ogni Dama e Cavaliere che, nel proprio cammino di fede in Gesù, soffre a volte tempi di crisi e di freddezza spirituale. Emmaus, dunque, è un brano spiccatamente catechetico, visto ‘‘dalla parte” dei discepoli e di ogni uomo e donna che intende seguire Cristo. Pertanto, in questo senso è icona della nostra vita: i due discepoli siamo noi; il cammino per il villaggio (Emmaus) è la nostra vita; le conversazioni rappresentano il nostro interloquire sul senso degli avvenimenti, sulla nostra esistenza e sulla nostra conoscenza e relazione con Dio; le speranze sono le nostre; le perplessità e le attese umane e spirituali sono le nostre; il dramma (la morte di Cristo) e l’imprevedibile (la risurrezione) sono parte della nostra esperienza.
In questa dinamica esistenziale, qual è la chiave di tutto? Ne esiste una? Sarà la ricerca che ci accompagnerà sempre e ovunque e da cui nessuno può esimersi. Se non c’è una chiave, se non c’è una risposta, la crisi sarà perenne.
Nel cammino verso Emmaus, cioè verso il senso della nostra esistenza, Gesù offre la chiave per aprire gli occhi e la mente, redarguendo i due discepoli: «Lenti di cuore a credere»! La sua morte, egli spiega, è avvenuta nel segno della redenzione, non appartiene alla linea del peccato di Adamo. È una morte che realizza la riconciliazione e diventa una luce per i popoli», spiega Benedetto XVI. Nella nostra vita, Dio non è spettatore indifferente; Gesù non resta sepolto dalla morte e dalla nostra incredulità. Egli è vivo e si accompagna a noi viandanti, si fa “conoscere” nei segni dello spirito; “riscalda” il cuore dando senso ai nostri interrogativi, si “siede” a tavola con noi, “prende” e “spezza” il pane della fede, “pronuncia” la benedizione, ci “dà” il cibo dei sacramenti, del perdono e della grazia e lascia che lentamente i nostri occhi si ‘‘aprano”. Ma non sapremo riconoscerlo se non nell’umiltà e nell’obbedienza della fede stessa, nelle orme dei poveri, nelle impronte degli emarginati e delle vittime di tanti soprusi e violenze. Riconoscere Gesù come il Signore, il Cristo che salva, è certamente frutto di eventi e di persone che ci circondano, ma tutto ciò non esaurisce la nostra comprensione di esso, se non riconosciamo il ruolo della grazia che ci precede e ci accompagna; la fede rimane sempre, in fondo in fondo, avvolta nel mistero dove si incrociano l’iniziativa di Dio e l’iniziativa umana, una costante di ogni esperienza da Abramo in poi.

Nella barca con Pietro

Lì, davanti al mare di Galilea, Gesù ottenne da Pietro la sua triplice attestazione di amore: «Tu sai che ti voglio bene (…) tu conosci tutto», confessò non senza un’intima emozione; e Gesù gli affidò la responsabilità della Chiesa. Fu quello il momento in cui, viene da pensare, il Maestro intravide la lunga fila dei successori di Pietro che ne avrebbero continuato la missione.
Non ci sarà mai un’espressione di amore più semplice e più bella di quella di Pietro, perché presuppone la sincerità di cuore di chi la pronuncia, il riconoscimento della propria debolezza e l’appello a Cristo che conosce l’intimo di ogni persona. Anche il mio e il tuo. Pietro, maturato da un passato di slanci e di tradimento, non dimenticherà che dovrà sempre fidarsi di Cristo. Sant’Agostino, uno dei più grandi Padri della Chiesa, ha scritto che Pietro «in quanto persona era solo un uomo, sul piano della grazia era certo un cristiano, ma sul piano superiore della grazia era l’unico e medesimo Principe degli apostoli».
Stare ora con Pietro è per noi dell’Ordine del Santo Sepolcro un principio di identità per distaccarci «dall’eroismo delle (nostre) proprie azioni e imparare l’umiltà del discepolo» nella fedeltà a Cristo e al Successore di Pietro.
Dove c’è Pietro, lì c’è la Chiesa, affermava Sant’Ambrogio. E sulla professione di fede di Pietro – «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» – che Gesù edifica la sua Chiesa. Infatti, chiarisce San Paolo, «nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» e Pietro ha per suo fondamento Cristo. La Chiesa, pertanto, ricevette dal Cristo, «nella persona di Pietro, le chiavi del regno dei cieli, cioè la potestà di sciogliere e legare i peccati e questa Chiesa ama e segue Cristo e per questo viene liberata dai mali». Anche se a volte la “barca” della Chiesa si trova a navigare tra onde tempestose e agitate, tanto da dare l’impressione di averne il sopravvento, noi non dobbiamo mai dimenticare che il Signore è sempre «Presente e (inter)viene nel momento opportuno. “Vado e vengo a voi” – è questa la fiducia dei cristiani, la ragione della nostra gioia», cioè la letizia di portare la testimonianza di Gesù che salva sino ai confini del mondo, anche a costo di persecuzioni e, a volte, anche fino alla morte.

Al pozzo di Giacobbe. Acqua per non avere più sete

Il pozzo richiama alla memoria la storia di Giuseppe, calato in una cisterna senz’acqua da fratelli invidiosi per essere abbandonato alla morte; è salvato provvidenzialmente da mercanti che lo comprano e lo portano in Egitto. Il pozzo e la storia triste di Giuseppe richiamano per analogia quella di Gesù, condannato per invidia, tradito da uno dei suoi per denaro; quel “pozzo” è simbolo del sepolcro di Gesù, che, deposto dalla Croce, ne avrebbe custodito per breve la vita tolta, da cui però stava per “zampillare” nuovamente una vita ripresa. Da sempre l’acqua è vita.
Il sepolcro, in cui Gesù fu posto dopo la sua morte e nelle cui “profondità” stava lievitando il grande mistero della vita nuova, era pronto per esplodere e lasciar emergere veramente una nuova esistenza «che supera ogni conoscenza», insegna San Paolo. Mosè, frastornato perché il popolo nel deserto mormorava contro Dio e contro di lui per la mancanza di acqua, dubitando che da una roccia potesse semplicemente scaturire dell’acqua, la colpì due volte con il bastone; l’acqua sgorgò e quella roccia ferita divenne immagine del costato trafitto di Cristo, da cui sarebbe scaturita «una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna».
Una Dama e un Cavaliere, con l’impegno che assumono nell’Ordine, sanno che, con la propria promessa, si accostano idealmente a quel pozzo; da quella fonte profonda, cioè da quel “sepolcro”, è sgorgata la vita nuova, Cristo risorto; da lui proviene ogni verità e conoscenza spirituale. Il sepolcro vuoto ci parla dunque del Maestro vivente che l’apostolo Tommaso riconosce e confessa – «Mio Signore e mio Dio» – e che la Chiesa è chiamata sempre a testimoniare e ad annunciare a tutte le genti e in tutti i tempi. Una Dama e un Cavaliere sanno anche bene di dover continuamente attingere energie spirituali ed entusiasmo dal sepolcro vuoto di Cristo ogni volta che ne avranno bisogno, perché è da quel “pozzo’ da quella ‘roccia” aperta, da quella “sorgente’ che sgorga l’amore alla propria fede e l’impegno verso la Terra di Gesù. La fede è dono e compito; dono in quanto siamo salvati gratuitamente da Cristo, compito in quanto ci rende attivi nella testimonianza in favore di lui, presente nei poveri e nelle opere di misericordia corporale.