IL PELLEGRINAGGIO IN TERRA SANTA

Una testimonianza

di G. Claudio Bottini, OFM*

La mia testimonianza – vivo a Gerusalemme da oltre quarant’anni – vuole essere una condivisione e un invito a ritrovare e mantenere vive le ragioni e i valori del pellegrinaggio, in fiduciosa attesa del superamento della pandemia che da marzo 2020 ha fatto piombare anche la Terra Santa nella penosa e drammatica situazione che tutti ci accomuna.

Certo, di tale invito non ha bisogno chi tra i visitatori di questo sito web ha già fatto il «santo viaggio» (Sal 83,6) e magari anche più di una volta. A costoro esprimo stima e gratitudine; a quanti non lo hanno ancora fatto rivolgo un cordiale invito a coltivare nel cuore il desiderio e la speranza di poter camminare sulle orme dei nostri Padri nella fede e godere della grazia speciale dei Luoghi Santi, la benedetta e drammatica delle nostre radici. Ecco allora, quasi in forma dialogica, i significati fondamentali e le motivazioni che possono muovere oggi una persona di buona volontà – a maggior ragione un cristiano – a fare un viaggio, meglio ancora un pellegrinaggio, in Terra Santa.

I   Cos’è un pellegrinaggio in Terra Santa?

Questa la prima domanda cui offro qualche risposta cercando di dire come io vedo il pellegrinaggio o come mi pare che esso si inquadri in molteplici aspetti della vita di una persona oggi.

1. Il pellegrinaggio, un investimento culturale

Inizio con una risposta, per così dire, terra terra che può sembrare banale. È evidente che ogni pellegrinaggio comporta non solo un impiego di energie e di tempo ma anche una spesa. Ebbene io considero tutto ciò come un investimento culturale e su questo ho avuto molto spesso conferma dai pellegrini che ho accompagnato.

Anche chi è dotato solo di una cultura limitata sa almeno vagamente che le grandi civiltà del mondo antico hanno avuto due poli la Mesopotamia a nord e l’Egitto a sud; il pellegrinaggio offre l’occasione di percorrere la terra di Canaan o di Israele – la Terra Santa per i credenti – quel corridoio geograficamente strategico che li univa e li separava. Questo era il passaggio obbligato per carovane di viaggiatori, commercianti e eserciti. Il pellegrino ha modo di riflettere che l’importanza di questa limitata striscia di terra è tutta o soprattutto nell’essere stata teatro della rivelazione biblica e cristiana. Certo questa riflessione si può fare anche avendo soltanto davanti una carta geografica, ma è un’altra cosa vedere con i propri occhi, calcare con i propri piedi e toccare con le proprie mani.

Il pellegrino viene a contatto più o meno diretto e intenso con resti archeologici, monumenti storici, testimonianze culturali, persone e istituzioni che aprono orizzonti nuovi dal punto di vista della conoscenza e dell’esperienza. Inoltre, senza essere questo lo scopo primario del suo itinerario, il pellegrino viene a contatto con le realtà politiche e sociali delle popolazioni che vivono nella Terra Santa delle quali altrimenti ha notizia solo attraverso il filtro dei mezzi di comunicazione e negli ultimi tempi dei social non raramente condizionati da scelte e preferenze ideologiche.

Aggiungo che il pellegrinaggio in Terra Santa può aiutare anche a correggere una visione superficiale delle cosiddette tre religioni monoteistiche chiamate spesso «religioni del libro» per il fatto che tutte e tre si basano su un testo sacro: la Bibbia per gli ebrei e i cristiani (per questi però Antico e Nuovo Testamento), il Corano per i musulmani. Lo ha precisato autorevolmente il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La fede cristiana… non è una “religione del Libro». Il cristianesimo è la “religione della Parola di Dio»: di una Parola cioè che non è “una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente”» (n. 108). Lo ha ribadito anche Papa Benedetto XVI nell’esortazione apostolica post sinodale Verbum Domini (n.  7). Basta parlare con un musulmano e si capisce subito la differenza che vi è tra la loro concezione della rivelazione e la nostra. Ugualmente, è sufficiente vedere in una sinagoga o al Muro del Pianto come viene onorato il rotolo della Torah per comprendere il significato religioso che l’israelita credente gli attribuisce.

2. Il pellegrinaggio in Terra Santa, un contributo alla pace

Proprio così! In una regione ferita da conflitti che si trascinano da decenni e che alterna periodi di relativa calma a fiammate di violenza, la presenza dei pellegrini è un contributo importantissimo alla pace sotto il profilo economico e umano. Lo sanno tutti: i pellegrini non fanno parte del conflitto e in Terra Santa sono accolti cordialmente da israeliani e palestinesi; non sono mai stati bersaglio di attentati o di aggressioni. I periodi più tristi che io ricordo negli oltre quarant’anni trascorsi tutti a Gerusalemme, sono quelli della guerra del Golfo (agosto 1990 – febbraio 1991) che tennero per lungo tempo i pellegrini lontano dalla Terra Santa e quelli della seconda intifada scoppiata a ottobre 2000 con gli stessi effetti disastrosi durati fino a tutto il 2003 e quelli dolorosissimi dei nostri giorni afflitti dall’interminabile pandemia di covid 19.

3. Il pellegrinaggio, un sostegno alla presenza cristiana in Terra Santa

Se, come ricordato, un pellegrinaggio è un segno e un aiuto al lungo e difficile cammino della pace in Terra Santa, esso è in misura ancora maggiore uno strumento di solidarietà e di sostegno per i cristiani che vi abitano. La presenza pacifica e gioiosa dei gruppi, le opportunità di lavoro che generano i pellegrinaggi con i vantaggi economici connessi costituiscono un aiuto importante, senza dire del sostegno finanziario che i pellegrini singolarmente o insieme molto spesso portano per i cristiani locali.

Monsignor Pierbattista Pizzaballa, per molti anni Custode di Terra Santa e ora Patriarca Latino di Gerusalemme, ricevendo e incoraggiando i pellegrini, sottolinea spesso che il significato della presenza cristiana in Terra Santa va ben oltre il 2% delle statistiche. Non è questione di numeri ma di qualità di vita; è questione di essere lievito nella massa! Lo stesso ribadiscono tutti i capi religiosi, a cominciare dai Papi, facendosi essi stessi pellegrini.

Non si dimentichi inoltre che quando si parla di presenza cristiana in Terra Santa ci si riferisce non solo ai cristiani locali, ma anche alle numerosissime presenze, comprese quelle di istituzioni universitarie, culturali, educative e assistenziali che danno alla Chiesa locale un tratto di universalità che connota da sempre il cattolicesimo in Terra Santa. La presenza di cristiani provenienti da tanti paesi, specie dal continente asiatico, diventa sempre più massiccia ed evidente e costituisce una sfida e un’opportunità pastorale.

Credo non vi sia alcun bisogno di soffermarci su questo. Esprimo piuttosto il rammarico che spesso il programma molto fitto del pellegrinaggio non consente di incontrare comodamente le comunità locali: parrocchie, scuole, associazioni ecc. Forse parrà un’esagerazione, ma mi è capitato più volte di dover spiegare ai pellegrini che arabo o palestinese non significa automaticamente musulmano…

Aggiungo solo una considerazione personale che spero sia storicamente esatta. In Terra Santa la presenza cristiana sottoposta alle vicende più varie e dolorose non è mai scomparsa. Qui non è successo quanto è capitato alle fiorenti comunità cristiane dei primi secoli in Nord africa e in Asia Minore; di esse e del loro glorioso passato sono restate quasi solo le testimonianze archeologiche e monumentali. Mi chiedo se a questa sorte diversa non abbia contributo proprio il flusso provvidenziale dei pellegrini cristiani – va detto, soprattutto cattolici – che sempre e da varie parti del mondo hanno affrontato difficoltà e pericoli di ogni genere per visitare la Terra Santa contribuendo così, forse anche inconsapevolmente, alla conservazione della presenza cristiana locale.

4. Il pellegrinaggio in Terra Santa, esperienza forte umana e religiosa

Per il fatto stesso che il pellegrino si mette in viaggio, e ancor più se nel suo itinerario incontra le tracce dei personaggi della Bibbia o ne rievoca sui luoghi le vicende, si trova spontaneamente collocato nella storia e nella geografia della rivelazione biblica ed è aiutato a cogliere la dimensione itinerante e transeunte della propria vita in questo mondo. Basti pensare alle peregrinazioni di Abramo e degli altri patriarchi, ai vari esodi del popolo dell’antica alleanza, ai viaggi di Gesù, all’invito che si legge nelle lettere apostoliche a tendere verso la patria del cielo vivendo in questo mondo come forestieri e pellegrini (cf. Fil 3,20; Eb 13,14; 1Pt 2,11).

Riassumendo dunque questa prima serie di annotazioni, alla domanda cosa è un pellegrinaggio in Terra Santa risponderei: è un sicuro investimento culturale, un contributo concreto alla pace, un sostegno prezioso alla presenza cristiana in Terra Santa, un’esperienza forte a livello umano e religioso.

II   Quali i motivi fondamentali di un pellegrinaggio?

Parlando di motivi penso anche ai contenuti. Ne suggerisco due, servendomi di espressioni usate dai pellegrini antichi, e aggiungo un terzo motivo ricorrendo a una splendida definizione data alla Terra Santa nei nostri tempi.

1. Il pellegrinaggio in Terra Santa historiae causa = per conoscere

Il pellegrinaggio in Terra Santa dev’essere mosso dal desiderio di conoscere la storia della salvezza o meglio ancora la dimensione storica della fede cristiana. Lo esprimo meglio con le parole di San Paolo VI, primo Papa della storia pellegrino in Terra Santa e ora santo della Chiesa universale: «È pur vero che il cristianesimo è religione universale, non legata ad alcun paese, e che i suoi seguaci “adorano il Padre in spirito e verità” (cf. Gv 4,23), ma esso è pure fondato su una rivelazione storica. Accanto alla “storia della salvezza” esiste una “geografia della salvezza”. Pertanto i luoghi santi hanno l’alto pregio di offrire alla fede un sostegno, permettendo al cristiano di venire a contatto diretto con l’ambiente, nel quale “il Verbo si fece carne e dimorò tra noi” (Gv 1,14» (Esortazione apostolica Nobis in animo, 23. 03. 1974; EV 5, 163; di questo Papa si veda anche l’omelia che egli fece a Nazaret il 5. 01. 1964).

Nella situazione attuale del mondo multiculturale, multietnico, multi religioso e contrassegnato da relativismo e dal diffondersi di religioni alternative al cristianesimo, non si insiste abbastanza sul fatto che la rivelazione biblico-cristiana non ha all’origine una speculazione filosofica e non è costituita da una dottrina particolare o da una singolare visione del mondo, ma è scaturita dall’incontro nella storia tra Dio che si rivela e la persona umana che lo cerca e/o a lui si apre. Il pellegrinaggio in Terra Santa è certamente un’occasione preziosa per una riflessione su questo tema.

In sintesi: il pellegrinaggio in Terra Santa aiuta a far percepire a livello di informazione e di esperienza la dimensione storica – o se si vuole storico-geografica – della fede cristiana. Il Dio della rivelazione biblico-cristiana non salva gli uomini dalla storia ma nella storia.

2. Il pellegrinaggio in Terra Santa orationis causa = per pregare

Il pellegrinaggio in Terra deve avere necessariamente una dimensione orante. Non si tratta di abbandonarsi a interminabili recitazioni di salmi, di rosari o preghiere. E ancora meno di ascoltare prediche moraleggianti di carattere generale che si possono udire dovunque comodamente seduti sulle panche di una qualsiasi chiesa o in un’aula per conferenze.

Il pellegrinaggio deve prevedere e consentire spazi di preghiera più o meno brevi o lunghi a seconda del tempo a disposizione, ma in ogni caso non può risolversi in un correre da un luogo all’altro curiosando, scattando foto o acquistando souvenir o altri oggetti. Quando dico spazi di preghiera intendo anche momenti di silenzio dove a ciascuno è consentito interiorizzare un pensiero, un’immagine, una emozione.

A queste due cause – la storia e la devozione – che hanno contrassegnato i pellegrinaggi nei secoli dobbiamo numerosi racconti di viaggio o itinerari – vere e proprie collezioni in varie lingue – preziosi per le testimonianze che ci hanno trasmesso sulla storia, sulla geografia, sui costumi e sulla liturgia e le preghiere. A proposito so per esperienza quanto è importante e utile stando sul luogo leggere almeno qualcuna delle testimonianze dei pellegrini che ci hanno preceduto. Mi permetto di segnalare che con questa premura è stato approntato dallo Studium Biblicum Franciscanum il volumetto, originariamente in forma di schede, dal titolo: Sulle orme di Gesù riedito più volte dalle Edizioni Terra Santa di Milano e tradotto ora in diverse lingue. La sezione dedicata alla tradizione cristiana (dovuta al confratello archeologo padre Eugenio Alliata) è intessuto di citazioni prese dalle memorie scritte degli antichi pellegrini.

3. Il pellegrinaggio in Terra Santa fa conoscere il Quinto Vangelo

Generalmente tutti i pellegrini hanno una conoscenza almeno sommaria dei quattro Vangeli, dei racconti su Gesù, dei tratti fondamentali della sua vita, dei miracoli da lui operati, dei suoi discorsi, della sua passione e morte. Ebbene a tutto ciò la Terra Santa offre lo sfondo storico-geografico, vale a dire le dimensioni dello spazio e del tempo per cui è considerato un «Quinto Vangelo».

Oltre mezzo secolo fa Cesare Angelini, sacerdote e insigne letterato vissuto nel secolo scorso, in un libro intitolato proprio Terrasanta. Quinto Vangelo scriveva: «Terrasanta fu definita “il quinto Evangelo”. Definizione che vorrei aver trovato io, tanto mi piace ed è vera. Invece l’ha trovata, prima di me, uno spirito più raffinato di me: Ernesto Renan… Disse dunque, Renan, che non può comprendere pienamente i quattro vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, chi non ha visto Terrasanta, dove Gesù visse e svolse la sua missione terrena. L’accordo perfetto dei testi e dei luoghi, il modo come Gesù ha impostato certe parabole e scene nell’ambiente paesistico, la meravigliosa armonia dell’ideale evangelico col paesaggio che gli fa da sfondo, sono una commossa rivelazione all’anima del pellegrino. Sicché l’elemento geografico è guida, quasi indispensabile, a interpretare il Vangelo» (Torino 1959, 7).

L’esortazione post sinodale Verbum Domini di Benedetto XVI che ho già ricordato ha ripreso la definizione «Quinto Vangelo» e parla della Terra Santa come di «quella Terra in cui si è compiuto il mistero della nostra redenzione e da cui la Parola di Dio si è diffusa fino ai confini del mondo. Infatti, per opera dello Spirito Santo, il Verbo si è incarnato in un preciso momento e in un determinato luogo, in un lembo di terra ai confini dell’impero romano. Pertanto, quanto più vediamo l’universalità e l’unicità della persona di Cristo, tanto più guardiamo a quella Terra in cui Gesù è nato, ha vissuto ed ha donato sé stesso per tutti noi. Le pietre sulle quali ha camminato il nostro Redentore rimangono per noi cariche di memoria e continuano a “gridare” la Buona Novella» (n. 89).

Ma se poi fosse vero che solo il 15% degli italiani ha letto per intero i vangeli come risulterebbe da un’inchiesta fatta nel 2007 («Coesis research Srl» per l’editrice San Paolo), penso che un pellegrinaggio in Terra Santa farebbe certamente nascere il desiderio di leggere integralmente i vangeli in tante pagine dei quali si avverte il profumo della Terra Santa.

Anche per questa seconda serie di annotazioni, in forma riassuntiva e sintetica, direi che si va in Terra Santa: per ritrovare le radici storico-geografiche della nostra fede in Gesù Cristo, per pregare sui Luoghi santificati dai misteri che vi si sono compiuti e impregnati della preghiera ininterrotta dei pellegrini, per conoscere il «Quinto Vangelo» che ai Quattro Santi Vangeli canonici offre il quadro ambientale, storico e geografico.

Conclusione

Alla luce della mia esperienza e della presente riflessione mi pare di poter dire che un pellegrinaggio in Terra Santa si caratterizza come un investimento culturale, un contributo alla promozione della pace, un sostegno concreto alla molteplice presenza cristiana, una singolare esperienza umana e religiosa. In Terra Santa si ha l’opportunità di conoscere meglio il fondamento storico della rivelazione biblico-cristiana e delle radici della nostra fede, pregare e meditare i misteri della storia della salvezza aiutati dal contesto ambientale unico, accrescere la conoscenza della tradizione evangelica venendo a contatto diretto con il “Quinto Vangelo”.

Concludo facendo mie le parole del Papa emerito Benedetto XVI: «La Terra Santa rimane ancor oggi meta di pellegrinaggio del popolo cristiano, quale gesto di preghiera e di penitenza, come testimoniano già nell’antichità autori come san Girolamo (Epist. 108,14). Più volgiamo lo sguardo e il cuore alla Gerusalemme terrena, più si infiammano in noi il desiderio della Gerusalemme celeste, vera meta di ogni pellegrinaggio, e la passione perché il nome di Gesù, nel quale solo c’è salvezza, sia riconosciuto da tutti (cf. At 4,12)» (Verbum Domini, 89).

* Decano emerito dello Studium Biblicum Franciscanum –
Facoltà di Scienze Bibliche e Archeologia a Gerusalemme