LA CHIESA DI SAN SEPOLCRO IN MILANO

“Ombelico” della città

di Marco Maria Navoni*

È stato san Carlo Borromeo che ebbe a definire la chiesa di San Sepolcro umbilicus civitatis, ombelico della città: cioè “centro” di Milano. E in effetti nel quadrilatero dove oggi sorge la Veneranda Biblioteca Ambrosiana (fondata dal cardinale Federico Borromeo, cugino di san Carlo, di manzoniana memoria) e la chiesa di San Sepolcro, in epoca romana (già dal I secolo a.C.) sorgeva il foro, il centro della città.
 

E come in tutte le città romane, nel foro si incrociavano ad angolo retto le due strade principali, il cardo e il decumanus: ancor oggi è possibile immaginarne il tracciato, perché le due antiche strade romane sopravvivono in parte sulla attuale rete viaria. Infatti se ci poniamo all’ingresso della Biblioteca Ambrosiana, tenendola alle spalle, e volgiamo lo sguardo verso est vediamo una specie di rettifilo che parte da via Cesare Cantù, passa sotto l’arco che porta in Via Mercanti, continua con Via Santa Margherita e infine con Via Manzoni, fino ad arrivare all’incrocio con la celebre Via Montenapoleone, dove sorgeva la Porta Nuova di epoca romana: questo rettifilo è esattamente metà dell’antico cardo. L’altra metà partiva dalla parte opposta, appunto dalla piazza San Sepolcro, proprio davanti alla chiesa, e con un andamento un po’ più tortuoso si allungava verso Via Nerino per terminare al Carrobbio, dove sorgeva la Porta Ticinese del IV secolo. Del decumanus invece sopravvive solo metà rettifilo, quello attualmente costituito da Via del Bollo, Via Santa Maria Fulcorina e Via Santa Maria alla Porta, toponimo questo che ci ricorda che al termine di tale rettifilo, dove oggi inizia Corso Magenta, sorgeva una porta, la Porta Vercellina di epoca romana. L’altra metà del decumanus purtroppo è stata fagocitata dell’urbanizzazione della città: ma se idealmente, tale metà, la ricostruiamo prolungando in senso opposto il rettifilo che da Piazza San Sepolcro giunge fino a Corso Magenta, ci ritroviamo a Piazza Missori, dove sorgeva l’antica e originaria Porta Romana. Abbiamo così ricostruito la rete viaria del cardo e del decumanus che dal foro si dipartiva nel IV secolo e che in parte ancor oggi sopravvive.

Ma nelle adiacenze del foro sorgeva anche la zecca di Mediolanum, dove si batteva moneta: ne è rimasta traccia nella toponomastica attuale che, come spesso accade, con una mirabile e millenaria forza d’inerzia ci ha conservato fino ad oggi nei pressi dell’Ambrosiana due strade titolate rispettivamente Via Moneta e Via Zecca Vecchia.

Il centro dell’antica Mediolanum dunque, già in epoca romana rivelava una spiccata “vocazione” economico-finanziaria; e anche quando, con la progressiva cristianizzazione della società, il cuore di Milano si spostò verso il complesso della cattedrale (dove sorge l’attuale duomo), la zona dell’antico foro mantenne quella sua originaria “vocazione”, tanto che ancora in epoca medioevale continuava ad esserci la zecca della città. E forse non è un caso se ancor oggi questa è la zona della città con la massima concentrazione di attività finanziarie e bancarie (basti pensare alla imponente sede della Banca d’Italia e all’altrettanto imponente complesso della Borsa).

Fu proprio un monetiere milanese (cioè un maestro di zecca) di nome Benedetto Rozzone, figlio di un tal Remedio, che attorno al 1030 fece costruire, secondo l’uso del tempo, una chiesa privata su un terreno di famiglia che si estendeva esattamente nel cuore dell’antico foro: nel 1036 l’arcivescovo Ariberto d’Intimiano consacrò tale chiesa, dedicandola solennemente alla Santissima Trinità. Il documento di fondazione ci assicura che la chiesa era stata costruita ad modum crucis, cioè a forma di croce e con tre grandi absidi, un avancorpo con torri gemelle e soprattutto ad scurolum, dotata cioè di una cripta, o meglio di una chiesa sotterranea rispetto al piano stradale, un vero e proprio ipogeo grande quanto la chiesa superiore. E sempre il documento di fondazione ci informa che in tale chiesa trovavano spazio sette cappelle o santuari, cioè sette luoghi devozionali dedicati alla vita e alla passione, morte e risurrezione di Cristo: in particolare nella cripta, o chiesa ipogea, fu collocata fin dalle origini la memoria del Sepolcro di Cristo.

Verso la fine di quel secolo XI la storia della Chiesa occidentale conobbe quello straordinario e discusso avvenimento che fu la prima crociata (1096-1099). Il 15 luglio 1100, a un anno esatto dalla conquista di Gerusalemme (avvenuta il 15 luglio 1099), l’arcivescovo di Milano Anselmo IV da Bovisio scelse la chiesa di Benedetto Rozo come luogo ideale per l’anniversario di quella storica impresa, e consacrò solennemente l’altare della cripta dedicandolo al Santo Sepolcro. Infatti – come abbiamo già detto – nella chiesa ipogea, che riproduce esattamente la pianta della chiesa superiore, esisteva già dal 1030, anno della fondazione, un simulacro del Sepolcro di Cristo, a imitazione di quello che i pellegrini da secoli veneravano in Terra Santa. Da allora si perse il titolo originario della chiesa alla Santa Trinità, ed essa rimase sempre, nel cuore di Milano, il tempio dedicato a San Sepolcro.

Tra l’altro nel documento di consacrazione della chiesa, l’arcivescovo Anselmo IV afferma che San Sepolcro sorge in medio civitatis, nel centro della città: evidentemente perdurava nella memoria dei Milanesi dell’Alto Medioevo la consapevolezza che l’area occupata da tale chiesa era stato il centro della città romana (e in qualche modo lo era ancora).

In occasione della dedicazione celebrata dall’arcivescovo Anselmo IV da Bovisio l’intero complesso architettonico della chiesa venne rinnovato. In riferimento a tale ristrutturazione è importante sottolineare un particolare di grande rilevanza storica e archeologica:  per pavimentare la cripta i costruttori romanici usarono un certo numero di pietre levigate che avevano trovato sul posto, senza sapere forse che si trattava del lastricato dell’antico foro romano; e così il cuore della chiesa di San Sepolcro, cioè la cripta, racchiude ancor oggi una delle testimonianze più antiche della storia della città e il visitatore può camminare sulle stesse pietre che furono milleseicento anni fa calpestate da Costantino, da sant’Ambrogio, da sant’Agostino e dall’imperatore Teodosio, e può vedere i solchi lasciati dai carri che percorrevano il centro della Milano romana.

 

Ma prima che monumento artistico-archeologico, San Sepolcro fu luogo di preghiera e di devozione: e non solo devozione alla passione e al sepolcro di Cristo, ma anche alla santa che, secondo l’evangelista Giovanni, per prima scoprì, la mattina di pasqua, il sepolcro vuoto e ricevette la prima apparizione del Risorto: santa Maria Maddalena. La festa in suo onore agli inizi veniva celebrata nella cripta al martedì dopo la domenica di risurrezione. Un affresco del 1300 nel transetto di sinistra della cripta, purtroppo ormai evanescente ma oggi restaurato con perizia, raffigura la Maddalena, con il corpo velato dai lunghi capelli, al centro Giovanni Battista rivestito di pelli di cammello, mentre sulla sinistra si nota una donna coronata, forse l’imperatrice sant’Elena, madre di Costantino, colei che ritrovò sul Calvario la vera croce del Signore e che fu promotrice dell’edificazione della basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme.

Nella seconda metà del Quattrocento San Sepolcro conobbe un visitatore illustre, di grande levatura artistica e culturale: Leonardo da Vinci. Egli infatti visse per vent’anni a Milano, alla fine del XV secolo, alla corte del duca Ludovico il Moro, e visitò personalmente San Sepolcro, tanto è vero che ci ha lasciato il disegno della pianta sia della chiesa superiore, sia della chiesa inferiore (la cripta): tale prezioso disegno era un tempo conservato presso la Biblioteca Ambrosiana, ora invece si trova a Parigi. Ma all’Ambrosiana si conserva, all’interno del celebre Codice Atlantico, la mappa della città di Milano disegnata da Leonardo: su di essa egli tracciò un quadratino che indica proprio la chiesa di San Sepolcro e in una didascalia definì quel punto come il «vero mezzo» di Milano, cioè il vero “centro storico” della città. Possiamo notare che Leonardo usa l’aggettivo “vero”: infatti se avessimo chiesto a un milanese del Quattrocento, ignaro della storia della sua città, quale fosse il centro di Milano, avrebbe probabilmente risposto indicando il Duomo, che proprio in quegli anni vedeva innalzarsi la struttura del tiburio; Leonardo invece con l’aggettivo “vero” sembra andare oltre l’opinione comune, per risalire a quello che era stato il centro della città fin dall’epoca romana.

Particolare devozione per la chiesa di San Sepolcro ebbe anche san Carlo Borromeo, il grande vescovo riformatore, vero ri-fondatore della Chiesa ambrosiana; innanzitutto egli la scelse come sede dei suoi preti Oblati (cioè i suoi più stretti collaboratori nell’opera di riforma da lui intrapresa e a lui legati da uno speciale voto di obbedienza), ma poi la volle anche come luogo personale di preghiera ascetica: vi si recava infatti a pregare regolarmente tutte le settimane (quando ovviamente si trovava a Milano), ogni mercoledì e venerdì pomeriggio, e non era infrequente che passasse intere notti di orazione nella cripta, davanti al simulacro del sepolcro di Cristo. Per questo, dopo la sua canonizzazione (avvenuta nel 1610), a opera degli Oblati venne posta una statua del santo arcivescovo in atteggiamento di preghiera e di adorazione davanti al Sepolcro del Signore, come ancor oggi possiamo vedere.

All’inizio abbiamo già fatto cenno al documento di san Carlo che definisce la chiesa di San Sepolcro “ombelico” di Milano: abbiamo così la terza importante testimonianza circa il permanere nella consapevolezza dei Milanesi (almeno quelli colti) che tale chiesa sorge sull’area dell’antico foro, il centro originario della città fin dall’epoca romana. Val la pena ricordare queste tre fondamentali testimonianze: nell’XI secolo è l’arcivescovo Anselmo IV da Bosivio che ci informa che San Sepolcro sorge in medio civitatis, al centro della città; nel tardo secolo XV è il grande Leonardo da Vinci che definisce la nostra chiesa il “vero mezzo” di Milano; e un secolo dopo è san Carlo che identifica San Sepolcro con l’ombelico della città. Un filo di testimonianze che anche noi, Milanesi del XXI secolo, raccogliamo con un certo orgoglio come preziosa documentazione.

Nella storia recente della chiesa è importante infine la data del 1928, quando, anche per il diretto interessamento dell’allora prefetto della Biblioteca Ambrosiana mons. Giovanni Galbiati, i Cavalieri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro dell’Italia, per interessamento del cav. gr. cr. conte Samuele Cambiaghi di Monza, vi posero la loro sede e riadattarono la grande sacrestia cinquecentesca a Sala del Capitolo. Fu in questa occasione che nella chiesa, persino sulle panche, nei passaggi verso la Sala Capitolare, nella Sala Capitolare stessa, fin anche sulle maniglie in bronzo delle porte, l’Ordine volle apporre la propria firma: la quintuplice croce del Sento Sepolcro, che ancor oggi dalle vetrate, dai pavimenti, dalle pareti e dai soffitti si impone nella sua araldica nobiltà.

Di fatto i Cavalieri non rimasero molti anni a San Sepolcro, nonostante questa potesse configurarsi come la loro sede storica, originaria e naturale; nel 1940 infatti, per vari motivi, passarono alla basilica di San Simpliciano, per trasferirsi poi definitivamente nell’attuale nobile ed elegantissima sede di Santa Maria della Pace.

In ogni caso, una visita a questa chiesa per ogni cavaliere di San Sepolcro, soprattutto lombardo, è quasi un “dovere morale” e insieme un piacevole modo per riagganciarsi alla tradizione più antica dell’Ordine. Oltretutto sono appena terminati da qualche anno i lunghi, complessi e delicati lavori di restauro della cripta, lavori che hanno interessato l’intero complesso ipogeo: il pavimento con le pietre del foro, le pareti e la volta del soffitto, con il gioco della nuova illuminazione a led che mette in evidenza il fascinoso insieme di questa singolare chiesa sotterranea, ritmata dalla fuga di ventisei esili colonnine che dividono l’ambiente in tre navate (anche se originariamente dovevano essere cinque, secondo il già citato prezioso disegno di Leonardo che delle due chiese, quella superiore e quella inferiore, ci conserva la duplice pianta). In tema di restauri già abbiamo accennato al prezioso affresco trecentesco con santa Maria Maddalena, san Giovanni Battista e l’imperatrice sant’Elena; ma altri affreschi, quattro e cinquecenteschi, sono riaffiorati sulle pareti delle scale che dalla chiesa superiore portano a quella inferiore, con scene della passione di Cristo; e soprattutto dal soffitto è stata rimossa la copertura in calce bianca del Sei/Settecento ed è riapparso, letteralmente splendente, un cielo di stelle floreali e accanto all’edicola del Sepolcro l’immagine di san Michele arcangelo. Una riscoperta storica e artistica quasi inaspettata che permette di annoverare a tutti gli effetti la cripta di San Sepolcro tra i massimi capolavori di Milano.

Ma per ogni cavaliere del Santo Sepolcro la visita alla cripta non è solo occasione di arricchimento culturale; deve essere anche, se non soprattutto, occasione di autentica esperienza spirituale e religiosa, con una sosta orante davanti all’abside dove, protetto da una severa cancellata, domina il simulacro del Santo Sepolcro. E all’osservatore attento non sfuggirà che sulla parte anteriore Sepolcro sono rappresentate le tre donne “mirofore” di cui parlano i Vangeli, cioè le donne che al mattino di pasqua si recarono alla tomba portando gli aromi per rendere omaggio al corpo del Signore, ma trovarono il Sepolcro vuoto e lì incontrarono Cristo risorto: infatti il Sepolcro è “santo” proprio perché è vuoto, perché la sua preda è stata strappata alla morte, divenendo così segno di vita e di risurrezione.

Non meno affascinante è la chiesa superiore, quella normalmente aperta ai fedeli per le celebrazioni liturgiche: noi la vediamo così come è giunta a noi dopo i rifacimenti di epoca barocca voluti dal cardinal Federico Borromeo. In essa sono presenti vari complessi statuari che, con la loro iconografia, offrono al visitatore e al fedele un vero e proprio itinerario spirituale e dottrinale, grazie al quale è possibile leggere e interpretare nella corretta prospettiva il mistero salvifico del Sepolcro di Cristo.

Innanzitutto nelle due cappelle laterali che fanno da cornice all’altar maggiore il visitatore è catturato da due stupendi gruppi di statue lignee colorate, a grandezza naturale, che rappresentano due momenti importanti della passione di Cristo: l’ultima cena, con la lavanda dei piedi, e Cristo schernito da due sgherri, mentre il sommo sacerdote si straccia le vesti e Pietro rinnega il Maestro per paura di una serva.

Il discorso iconografico continua con la statua di Cristo morto, deposta sotto l’altare maggiore, la quale è per così dire in dialogo con la potente rappresentazione della deposizione di Cristo che possiamo ammirare nella navata di sinistra; una rappresentazione composta da nove terracotte a grandezza naturale, tra le quali spicca per bellezza e drammaticità di resa la statua di Maria Maddalena rappresentata mentre con le braccia allargate quasi in un gesto di disperazione contempla allibita e stupefatta il corpo morto del Signore. Tale complesso statuario a dire il vero si trovava originariamente nella cripta; oggi nella chiesa superiore, insieme al Cristo morto sotto l’altare maggiore, richiama in qualche modo il mistero della morte e deposizione di Cristo che nella chiesa inferiore è rappresentato plasticamente dal simulacro del Santo Sepolcro, segno della tragica conclusione della vicenda terrena di Gesù di Nazaret.

Ma tutto non finisce lì, in un sepolcro che racchiude un cadavere. Il vertice di questa “avventura di salvezza” è raggiunto dalla parte soprastante l’altare maggiore, dove si innalza un tempietto poggiante su colonne tortili, animato dalla presenza di numerose figure: dunque un ulteriore complesso statuario, realizzato nel Settecento a cura degli Oblati di San Sepolcro, e che rappresenta la meta finale dell’intero itinerario spirituale che stiamo compiendo. Mette conto tra l’altro ricordare che l’iconografia antica del Santo Sepolcro di Gerusalemme lo rappresentava a forma di torre: e in questo caso il tempietto su colonne tortili, che richiama in qualche modo la forma di una torre, vuole per l’appunto essere alludere precisamente al Sepolcro di Cristo, dentro e attorno al quale si affollano vari personaggi.

Vi troviamo innanzitutto le tre donne “mirofore” che già abbiamo visto nella chiesa inferiore effigiate sulla fronte del simulacro del Sepolcro: sono loro che al mattino di pasqua si sono recate al Sepolcro con gli aromi per imbalsamare il cadavere di Gesù, ma per l’appunto lo hanno trovato vuoto. I Vangeli ci dicono che al sepolcro accorsero anche i due apostoli Pietro e Giovanni, qui rappresentati all’esterno del tempietto, uno per parte. Ed ecco che alle tre donne e ai due apostoli si frappone una sesta figura, quella dell’angelo che punta il dito verso l’alto, a indicare la statua di Cristo risorto, con il vessillo della vittoria in mano, sul fastigio del tempietto. Ed è questa la vera meta di tutto il programma iconografico dell’intero complesso della chiesa di San Sepolcro: dall’ultima cena, con il dono dell’eucaristia e l’esempio della carità suprema simbolizzata dalla lavanda dei piedi, alle sofferenze della passione, con l’incomprensione dei sommi sacerdoti e il tradimento dei discepoli, si passa al tragico epilogo della morte, della deposizione e della sepoltura. Ma il Sepolcro di Cristo – abbiamo già detto e val la pena ripetere – è “santo”, perché al mattino di pasqua resta irrimediabilmente vuoto, e a ogni visitatore, o meglio a ogni fedele che visita con devozione la chiesa di San Sepolcro e ne cerca il messaggio, l’angelo, al centro del tempietto, come alle tre donne e ai due apostoli, così anche a lui indica di guardare più in alto ancora, di guardare al Risorto, fonte di vita e di redenzione.

È la stessa stupenda logica cristiana che ha voluto porre sul vessillo dell’Ordine del Santo Sepolcro non un simbolo di morte, ma proprio quella stessa effigie: l’immagine di Cristo risorto, vincitore della morte.

* Commendatore dell’Ordine del Santo Sepolcro
Vice Prefetto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana
Canonico del Capitolo maggiore del Duomo e della Basilica di Sant’Ambrogio in Milano